I consigli di un coltivatore
I consigli che qui do su come coltivare gerani e gelsomini si riferiscono alla mia personale esperienza e non sono privi di limiti. Il limite principale consiste nel fatto che coltivare in Sicilia è ben diverso che nel resto d’Italia. Altro limite è che mi baso su un insieme di osservazioni personali che non è detto che formino un quadro completo e tecnicamente corretto. Chi legge avrà certamente la bontà di perdonare. Buon giardinaggio!
Coltivazione dei Pelargonium
I pelargoni sono delle piante abbastanza facili da coltivare, soprattutto negli ambienti a clima mediterraneo (sono piante originarie prevalentemente dell’Africa meridionale). La notevole resistenza e la capacità di adattamento dei pelargoni consentono loro di superare periodi realmente difficili, anche se a volte a scapito di un po’ della loro bellezza. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che una delle belle caratteristiche delle piante è proprio la loro mutevolezza.
Per quel che riguarda i consigli per la coltura dei Pelargoni bisogna innanzitutto distinguere tra la coltivazione in vaso e la coltivazione in piena terra. La coltivazione in piena terra ha il difetto fondamentale di escludere quasi del tutto il ricovero veloce delle piante in occasione dei cambi di stagione o in previsione di gelate o altro. Per il resto, quando possiamo, quando le caratteristiche del terreno lo consentono, è assolutamente consigliabile piantare in terra.
I Pelargoni che crescono nel terreno diventano più “autonomi”, soffrono meno degli stress termici o idrici, sopportano meglio gli attacchi dei parassiti e, soprattutto, acquistano portamento e dimensioni imponenti. Non tutte le varietà si adattano ad essere coltivate in piena terra, ma a sperimentare non si sbaglia mai, comunque sono indicati per questo uso molti Pelargoni odorosi, botanici, unique e macranta. Per quanto riguarda i Pelargoni in vaso, non dobbiamo essere troppo misurati nelle dimensioni ma usiamo vasi con un diametro di almeno di 25-30 centimetri. I Pelargoni normalmente gradiscono e danno il meglio di sé a temperature miti (intorno ai 20-25 °C), però resistono anche a temperature ben più alte, con alcuni importanti accorgimenti, e a temperature basse, se queste non arrivano improvvisamente.
I problemi dei Pelargoni, per la maggior parte, sono legati all’eccesso di umidità, soprattutto se associata al caldo o al freddo. I periodi di grande caldo vanno quindi superati riducendo drasticamente le irrigazioni. Certo i Pelargoni saranno meno belli, ma arriveranno vivi a Settembre. Anche le basse temperature sono ben sopportate da quasi tutti i pelargoni. Sicuramente entro il limite dello zero, ma anche quando si arriverà, gradualmente, ai 4-5 gradi sotto lo zero le vostre piante non moriranno. Anche nel caso di temperature tanto basse è importante evitare i ristagni d’acqua nel terriccio. Il terriccio che usiamo per i Pelargoni è sciolto e ben drenato. In commercio si trovano dei terricci “per gerani” a base, quasi esclusivamente, di torba. La mia esperienza mi porta a sconsigliare categoricamente dei terricci in cui non ci sia in abbondanza una componente che faciliti il drenaggio: argilla espansa, pomice, perlite, corteccia di conifera (comunque materiali grossolani). La torba, da sola, dà problemi: si imbibisce di acqua e la trattiene troppo a lungo, quando poi perde l’umidità può infeltrirsi e diventare invivibile. Quanto alle irrigazioni, quindi, dobbiamo ricordare alcune semplici regole: non bagnare le foglie; per evitare i marciumi si deve irrigare solo quando il terriccio è ben asciutto (per sapere quando, mettete un dito nel terreno alla profondità di qualche centimetro); non irrigare, quindi, con sistemi automatici “a tempo”.
L’esposizione più adatta per i pelargoni varia, neanche a dirlo, da zona a zona. In Sicilia, in estate, si vedono dei bei balconi di Pelargoni quasi solo a tramontana. Noi di solito consigliamo di esporli dove non prendono il sole più cocente, ad esempio ad Est. Comunque in altre zone d’Italia le regole certamente cambiano. Ad esempio in ambienti montani, dove l’aria è fresca e tersa, anche in piena estate non esiste alcun problema ad esporli pienamente al sole. In questi casi, come ci insegnano i balconi di tante località alpine, si ottengono risultati splendidi. Per la concimazione dei pelargoni possiamo usare i concimi che si trovano facilmente in commercio, ormai anche al supermercato. In linea di massima sono buoni, ma si devono usare con cautela seguendo alcune regole: non concimare in periodi troppo freddi o troppo caldi; seguire i consigli riportati nelle etichette; le dosi non vanno mai aumentate, semmai può convenire ridurre le dosi ed aumentare un po’ la frequenza delle concimazioni. Il periodo di potatura è difficile da scegliere, perché cambia da zona a zona e in base al tipo di potatura che serve fare. Lo scopo principale della potatura è lo svecchiamento della pianta. Togliamo i rami più vecchi e lignificati, in corrispondenza di un nodo, dalla base o solo ad una certa altezza, per favorire lo spuntare e la crescita di nuovi getti. Questa potatura in Sicilia, con i gerani zonali ed edera, si fa in inverno, ma in altre regioni conviene farla o ben prima che venga il freddo o, meglio, alla fine dell’inverno. La potatura dei pelargoni non rifiorenti (molti odorosi, unique, macranta) va fatta dopo la fioritura, accorciando i rami di una buona metà. Nel caso di piante molto grandi possono essere ridimensionate accorciando i rami di due terzi. Un’altra potatura può esser fatta non tanto per svecchiare la pianta, quanto con lo scopo di prepararla al caldo peggiore: si riduce la chioma, si tolgono un po’ di rami vecchi o troppo lunghi, sempre tagliando all’altezza di un nodo. In sostanza si riduce la superficie di scambio tra la pianta e l’atmosfera. Quando si fa questa potatura estiva si badi a ridurre ulteriormente le irrigazioni! Un’altra questione è quella della cimatura. Con questa pratica si asportano le estremità dei rami (le cime appunto), per favorire lo sviluppo di germogli dalle parti più basse della pianta. L’apice vegetativo (una piccola porzione delle gemme apicali) produce infatti delle sostanze ormonali che inibiscono lo sviluppo di altre gemme. Eliminando a volte una piccola punta si ottiene dopo qualche tempo la formazione di tanti piccoli rametti laterali. In questo modo si evita che le nostre piante restino con pochi lunghi rami, con qualche foglia e un fiore in cima. Il periodo della cimatura, per la mia esperienza, è tutto il periodo vegetativo. Nel senso che va fatta costantemente, durante tutta la primavera e l’estate.
Una simpatica esperienza che possiamo vivere con i nostri pelargoni è quella di sperimentare la loro propagazione. Quali che siano le tecniche adottate, è sempre piacevolissimo contribuire allo sviluppo di una nuova piantina partendo da un rametto o da un seme. La propagazione per via vegetativa viene abbondantemente usata con i pelargoni, sia in casa, sia dai vivai, anche su scala industriale. Alcune varietà si propagano per divisione o per talea radicale (ad esempio alcune specie succulente), ma la maggior parte dei pelargoni si propaga con facilità per talea. Le talee vanno fatte in primavera o in autunno, quando non c’è né troppo caldo né troppo freddo. Si stacca un rametto e si utilizza l’estremità di questo per una lunghezza di 7-10 cm (comunque almeno 2 nodi).
La lunghezza è variabile perché il taglio va fatto subito sotto un nodo (dove è l’attaccatura di una foglia). Poi si ripulisce la talea di tutte le foglie basse, e la si mette in un vasetto precedentemente preparato con terriccio umido. Durante tutto il periodo precedente alla radicazione bisogna aver cura di tenere umide le foglie (le sole foglie, non il terriccio, che deve rimanere leggero: la causa più comune di insuccesso è un terriccio troppo umido, inzuppato). Si può coprire il vaso con un sacchetto di plastica trasparente, avendo cura però di rigirarlo spesso per evitare l’eccessiva umidità. Il vaso con le talee va posto in posizione ombreggiata. Dopo circa 50-60 giorni la nuova pianta potrà essere messa a dimora, facendo attenzione a non danneggiarne le radichette appena formate. Alcuni usano gli ormoni per la radicazione. In realtà con i pelargoni non è quasi mai necessario.
La semina è un’altra esperienza da non perdere e da far vivere ai ragazzi. In questo caso non tutte le varietà sono adatte, ma ce ne sono molte più di quelle che pensiamo. I pelargoni dopo la fioritura producono degli strani frutticini a forma di becco di uccello, all’interno di questi si trovano i semi, che spesso hanno una capacità di germinare inaspettata. Gli stellar, molti zonali ed alcuni gerani odorosi producono semi buoni.
Ma i semi migliori sono quelli delle specie botaniche: il P. odoratissimum e il P. capitatum, ad esempio, si moltiplicano con facilità e nascono un po’ ovunque (spesso piantine nate da seme fanno capolino nei vasi vicini comportandosi da “infestanti”).
Oltre ai problemi legati all’eccessiva umidità nel terriccio, uno dei problemi che negli ultimi anni ha afflitto i pelargoni coltivati in Europa è l’infestazione di una farfalla, che non fa parte della fauna locale, il cui bruco scava delle gallerie all’interno dei giovani rametti dei pelargoni. Esistono diversi insetticidi per la lotta a questo insettino, noi consigliamo l’uso di prodotti a base del batterio Bacillus Thuringiensis. Non ha controindicazioni nell’uso casalingo ed è efficace. Ma il consiglio migliore che preferiamo dare è di scegliere le varietà che sono naturalmente repellenti nei confronti degli insetti parassiti. Si tratta dei pelargoni a foglia profumata, le cui foglie hanno appunto degli odori troppo forti per gli insetti, ma spesso molto gradevoli per chi li coltiva.
Infine, dopo aver lungamente discettato sulla coltivazione dei pelargoni, mi sembra utile ricordare a chi ha avuto la pazienza di arrivare a queste righe finali che comunque, nonostante i nostri sforzi e in barba alle mie chiacchiere, i gerani più belli sono sempre quelli che nessuno coltiva, quelli che ritroviamo, fioriti e sgorbi, nelle case di villeggiatura, dopo undici mesi di abbandono, quelli che resistono ferocemente incastonati tra l’asfalto e il cemento, quelli che attecchiscono con facilità, messi in terra da mani ignoranti e concrete, alla faccia di tutte le nostre teorie e spiegazioni pseudo-scientifiche.
Coltivazione dei Jasminum
Non tutti i Jasminum sono veri e propri rampicanti, come vorrebbe la loro fama. Spesso sono piante cespugliose e sarmentose. Anche in questi casi tuttavia sono facilmente guidabili e con pochi semplici accorgimenti possono ricoprire superfici verticali, fissandoli a un qualsiasi supporto come un graticcio o una ringhiera o ancora una recinzione. Altrimenti, se lasciati crescere naturalmente, possono assumere un’elegante portamento a fontana, con lunghi rami ricadenti, tipico dei cespugli sarmentosi. Molti sono comunque i gelsomini rampicanti, caratterizzati da rami volubili, cioè che hanno la capacità di avvolgersi spontaneamente attorno a qualsiasi supporto di sostegno.
Tutti i gelsomini preferiscono un terreno ricco, ben drenato, profondo e soprattutto abbondante come quantità. La soluzione migliore è sicuramente metterli a dimora in piena terra, ma anche chi non ha un giardino può godere di queste piante purché le collochi in vasi grandi, di almeno 45-50 cm di diametro.
Il gelsomino è una pianta nel complesso spartana, che non richiede particolari attenzioni e che normalmente non soffre di malattie. Inoltre, anche se la maggior parte dei gelsomini preferisce i climi temperati, molte specie sono diffuse un po’ in tutta Italia, dimostrando una certa rusticità. Solo alcune specie temono in particolare il freddo e per queste in inverno bisogna avere qualche accortezza in più: soprattutto nelle giornate più rigide e al nord si possono mettere al riparo o coprire con un tessuto-non tessuto, mantenendo il terriccio non troppo umido. Altri gelsomini come il J. nudiflorum, il J. mesnyi, il C. parkeri o il C. floridum hanno invece una buona resistenza al freddo. Le irrigazioni devono essere regolari per i primi 2 anni. Poi, una volta stabilizzata, una pianta in piena terra può considerarsi del tutto autonoma.
Per quanto riguarda l’esposizione bisogna ricordare che i Jasminum amano una posizione molto soleggiata e calda. La quantità e la lunghezza della fioritura dipendono infatti dalla esposizione della pianta al sole e al calore. La potatura non è una operazione da effettuare necessariamente e ogni anno, specialmente quando ancora la pianta è giovane. Invece è opportuna quando la pianta diventa eccessivamente folta o invecchiata. In questo caso si può effettuare un diradamento della chioma, tagliando i rami più vecchi e malformati o indeboliti e accorciando i rami disordinati. Il periodo più adatto per i gelsomini a fioritura estiva autunnale è fine inverno inizio primavera quando le temperature si fanno più miti e il pericolo di nuove ondate di freddo è cessato. I gelsomini a fioritura invernale come il J. mesnyi o a fioritura primaverile come il J. polyanthum vanno invece potati o sfoltiti (quando necessario) concluso il periodo della fioritura, una volta che sono sfioriti. Altrimenti, effettuando la potatura in un periodo diverso, verrebbe pregiudicata la fioritura dell’anno successivo. Bisogna sempre potare al di sopra di un nodo, in modo da permettere alle nuove gemme di ripartire. Per poter meglio immaginare quale sarà l’effetto delle potature è bene sapere che la maggior parte dei Jasminum coltivati tendono a sviluppare principalmente le gemme più vicine al punto del taglio e secondariamente quelle via via più vicine alla base della pianta.
Molti gelsomini possono essere mantenuti anche a cespuglio, come il J. multipartitum e il J. laurifolium o nitidum, che si mantengono sempre molto ordinati e fitti. La propagazione può essere fatta, a fine estate, per talee legnose o semi legnose, ma questa tecnica a livello amatoriale spesso non funziona. Per alcune cultivar un po’ difficili da propagare è usato anche l’innesto, ma forse la tecnica più praticabile anche in casa è la margotta, anche perché molti gelsomini tendono ad avere rami che naturalmente si prestano in tal senso. Interessante infine risulta la semina di alcune specie come il J. fluminense e il J. molle, generosi di semi fertili.
Il seme va lavato e ripulito dalla polpa prima di essere messo a dimora. La germinazione avverrà scalarmente.