Quasi ogni volta che parliamo con dei clienti nuovi dei gelsomini e della loro storia viene fuori il racconto delle piantagioni di gelsomino presenti in Sicilia e Calabria nel secolo scorso. Ebbene sì, pochi lo ricordano ma in queste due regioni si sviluppò una fiorente (in tutti i sensi) attività legata alla produzione di concreta di gelsomino. Gli stabilimenti che producevano essenze di bergamotto e altri agrumi iniziarono a lavorare il fiore del gelsomino per esportare in Francia la concreta, appunto, una massa cerosa da cui si ricavava l’essenza profumata. La piana di Milazzo in Sicilia e la provincia di Reggio Calabria erano le zone con maggiore presenza di gelsomineti. La memoria della vita di sacrifici che conducevano le gelsominaie (le raccoglitrici di gelsomini) è ancora viva tra le popolazioni di quei luoghi. Tante volte abbiamo avuto modo di ricordare in eventi pubblici l’epopea delle gelsominaie e delle loro lotte sindacali volte ad ottenere salari e condizioni di lavoro migliori. Purtroppo però, col passare degli anni divenne sempre meno conveniente coltivare gelsomini in Francia e in Italia e la produzione di concreta si spostò in altri paesi, soprattutto in Egitto. Oggi in Europa restano solo pochi ettari di gelsomineti nella regione di Grasse, in Provenza.
L’uso dei gelsomini come piante per la “profumeria” è antichissimo. Anzi, si può affermare che prima che come piante ornamentali, i gelsomini nell’antichità venivano usati per profumare i cosmetici. Racconta Dioscoride (primo secolo d.C.) che i Persiani usavano cospargere il corpo con un olio di sesamo profumato al gelsomino. L’estrazione del profumo dal gelsomino si otteneva con una tecnica che adesso si chiama enfleurage e che sfrutta la capacità dei grassi di “catturare” gli odori. I semi di sesamo, molto oleosi, venivano messi a contatto con fiori freschi, che venivano cambiati ogni giorno per parecchi giorni. Alla fine di questa lavorazione i semi venivano macinati e spremuti per estrarre l’olio. Quest’olio aveva il profumo dei gelsomini.
Un tempo, fino a circa gli anni ’40 del secolo scorso, anche le fabbriche di profumi della Francia, usavano l’enfleurage. Su una lastra di vetro cosparsa di grasso venivano disposti i fiori, che venivano sostituiti ogni giorno per decine di giorni. Dopo questa lavorazione il grasso era saturo di profumo e poteva essere sciolto con alcol per estrarne l’essenza profumata.
Con l’enfleurage il medico e scienziato Francesco Redi, alle dipendenze del granduca Cosimo III de’ Medici, profumò la granella di cacao per ottenere il cioccolato al gelsomino. La ricetta all’epoca era segreto di Stato per espresso volere del granduca. Anche in questo caso si tratta di centinaia di fiori che ogni giorno vengono messi a contatto col cacao in grani e poi cambiati, giorno dopo giorno, finché il cacao non sia saturo di profumo di gelsomino. Oggi il vivaio Malvarosa ha nuovamente sperimentato l’enfleurage della granella di cacao, seguendo le indicazioni del Redi. La sperimentazione è stata fatta in collaborazione con l‘Antica Dolceria Bonajuto di Modica, che lavora il cacao con le stesse tecniche che si usavano al tempo di Francesco Redi.
Ma perché un tempo si usava una tecnica tanto lunga e dispendiosa per l’estrazione del profumo del gelsomino?
E oggi invece questo profumo come si estrae?
La tecnica lunga e dispendiosa era resa necessaria dalla estrema delicatezza del fiore di gelsomino, che si degrada velocemente, e dalla labilità del suo odore. Il meraviglioso profumo del gelsomino può facilmente alterarsi e virare in modo sgradevole a causa del calore. Per questo il fiore non si può riscaldare e va trattato con tecniche “a freddo”. Oggi non si usa più l’enfleurage, perché richiede una quantità di manodopera eccessiva, ma si lasciano i fiori di gelsomino immersi in solventi che “sciolgono” il profumo. Una volta saturi di profumo questi solventi sono “lavati” con sostanze alcoliche per ottenere la concreta. Purtroppo i solventi usati sono sostanze molto tossiche e sospette cancerogene (il più usato è l’esano) e potrebbero lasciare residui nell’olio essenziale.
Negli ultimi anni, grazie alla forte sensibilità sui temi della salute e del rispetto dell’ambiente, pochissime aziende artigianali nel mondo stanno riscoprendo l’enfleurage e stanno producendo cosmetici e profumi usando come base dei grassi profumati con questa antica tecnica.
Ed è così che sono nati i nostri cosmetici, ottenuti tramite il contatto diretto dei fiori con un finissimo olio di mandorle, per avere una delicata profumazione naturale, senza l’uso di solventi tossici.